Articolo pubblicato su "Liuteria Musica Cultura".

ANTICHE ESSENZE LEGNOSE
Tanti validi motivi per il loro riutilizzo
Fabio Chiari

E’ abbastanza noto che col passare degli anni e con l’accumularsi delle esperienze si decida universalmente che un procedimento o un materiale siano per loro caratteristiche intrinseche preferibili ad altri e questo fa parte dell’evoluzione naturale delle cose. Alcune volte anche in liuteria però, a spostare la scelta da un legno ad un altro o da o da una tecnica costruttiva all’altra non è la realtà dei fatti ma l’interesse economico che sta dietro. Risulta facile dimostrare che l’abete rosso maschio della val di Fiemme è il miglior legno di risonanza per la costruzione di strumenti musicali anche se in passato è stato utilizzato l’abete bianco dell’Appennino ed infinite altre sottospecie dell’abete rosso europeo o canadese. Molto più complicato risulta il tentativo di spiegare il perché della scomparsa di molte essenze legnose utilizzate in liuteria durante il periodo classico per la costruzione della cassa. Tutti i grandi liutai del passato hanno costruito gli strumenti della grande famiglia degli archi utilizzando anche legno di pero, ciliegio, acero campestre, pioppo nero, salice. Se addirittura figurano esempi di strumenti costruiti utilizzando il noce o i limoni del lago di Garda, perché oggi è espressamente richiesto l’uso esclusivo dell’acero pseudoplatanus o di monte nella costruzione di violini e viole e viene solo a malapena sopportato l’uso del pioppo e del salice su violoncelli e contrabbassi?  Nella ricerca delle cause di questa situazione va detto ad onor del vero che l’acero di monte è disponibile in grande quantità,  ha una bellissima marezzatura, pochi nodi, una ottima resa sonora e grazie alla rotazione del taglio dei boschi è sempre disponibile in ogni pezzatura sul mercato. Bisogna però anche dire che l’utilizzo intensivo dello stesso legno ha portato ad una sua standardizzazione con conseguente appiattimento della produzione in liuteria la quale inevitabilmente col tempo ha finito col presentare strumenti se non uguali almeno molto simili fra loro. La produzione classica invece aveva come punto di forza proprio la differenziazione del prodotto sia come forme che come materiali, il che porta inevitabilmente oggi alla riscoperta di alcuni legni proprio per ridare linfa alla produzione di strumenti musicali e riportare la liuteria ad una dimensione di artigianato artistico che gli è più congeniale. Cominciamo col riscoprire una essenza legnosa bellissima ed assolutamente italiana: l’acero campestre o acero italico (fig.2c). Innanzitutto è necessario dire che esistono in Italia tre o quattro specie e molte sottospecie di acero campestre, le quali fra loro sono spesso interfertili tanto da dare una infinita varietà di individui le cui lievi differenze sono alle volte riscontrabili solo ad una attenta ricognizione microscopica.
Comunque le due specie dominanti sono l’acero campestre e l’acero opalus entrambe chiamate volgarmente loppo, oppio, chioppo o testuccio, e si possono trovare spontanee in tutto il paese sia in pianura che in collina, mentre in montagna vengono sostituite dall’acero di monte (pseudoplatanus fig.n°2a) o dall’acero riccio (platanoides fig. n°2b), Le differenze fra queste sono riscontrabili principalmente nella diversa divaricazione delle ali delle rispettive samare e nella forma delle foglie, non fanno testo differenze di colore della corteccia o della chioma in quanto le variazioni possono essere anche determinate dalla posizione geografica o la differente esposizione. Molto simili invece sono le caratteristiche del legno. Tutte le forme di acero campestre presentano una essenza legnosa leggermente più pesante dell’acero di monte ed ha grana più fine. Il colore è molto più scuro tendente al nocciola anche prima della stagionatura ed è apprezzabile seppur non eclatante la differenza fra durame ed alburno. La pianta in genere è assai robusta e difficilmente attaccabile da malattie o infestazioni, resiste bene anche a potature drastiche o fuori stagione, la sua crescita è abbastanza lenta e la capacità di sopportare la “capitozzatura” ha fatto sì che fosse utilizzata sin dai primordi come tutore vivo della vite. Questo sistema di coltivazione ha decretato la fortuna e la sfortuna di questa essenza dal momento che se da un lato l’ha tutelata come utile all’uomo da un altro ha fatto sì che la stragrande maggioranza degli individui sia stata capitozzata tanto che nella maggior parte di essi la formazione di ristagni di acqua alla separazione del primo palco di rami ha definitivamente eliminato la possibilità di un loro utilizzo in liuteria in quanto tutta la parte utile del tronco risulta compromessa dal marciume o infiltrazioni. Un’altra caratteristica delle forme italiane di campestre è data dal fatto che il suo comportamento arbustivo nei primi anni di età e la sua vitalità portano la pianta ad emettere gemme e rami per tutta la sua esistenza anche sul tronco, tanto che il legno è assai spesso ricco di nodi così da rendere la pianta spesso inutilizzabile anche se le sue dimensioni a crescita avvenuta risultano solo di poco più piccole delle forme di pseudoplatanus o platanoides. Nell’acero campestre è spesso presente la marezzatura, in alcuni esemplari essa appare solo parzialmente dovuta alla pressione di alcuni rami laterali in altri segue in maniera non molto interessante l’andamento del tronco e solo in rari casi si presenta bellissima in tutte le parti della pianta. Solitamente si è portati a ritenere che la marezzatura del campestre sia facilmente riconoscibile da quella dell’acero di monte perché più stretta e irregolare ma questo è vero solo in parte poiché spesso per le sue caratteristiche l’acero campestre viene utilizzato in maniera diversa (fig.n°1). Le dimensioni più ridotte e la presenza di nodi portano quasi sempre a scegliere tagli tangenziali e ad eliminare quasi del tutto il taglio radiale ed i fondi in due pezzi, ma in condizioni particolari ed in piante di grosse dimensioni spesso la marezzatura è assai simile a quella dei parenti più nobili. Queste che a prima vista possono sembrare delle limitazioni in realtà portano alla conclusione logica che ogni strumento costruito con l’acero campestre italiano sia unico sia per aspetto che per caratteristiche sonore il che richiede al musicista una personalità ed una sensibilità particolari, insomma una differenziazione anziché un adeguamento su forme standard. Il legno del campestre è assai versatile poi per quanto riguarda la sua conservazione, una volta tagliato e ridotto a tavole dello spessore richiesto è necessario isolare le pezzature utilizzabili eliminando con la sega tutti i nodi circostanti in prossimità dei quali si possono verificare rotture durante la stagionatura. È necessario incerare per evitare le cosi dette fratture a“zampe di gallina”. Anche se la preparazione può risultare laboriosa, una volta ben eseguita fa sì che il legno si possa utilizzare anche dopo due anni dal taglio senza sorprese sgradevoli durante la lavorazione. Passiamo ora ad una sommaria descrizione del pioppo nero (populus nigra fig.2d). A chi mi fa spesso notare che il legno del pioppo è buono solo per fare fiammiferi mi piace ricordare la viola Mahler del 1672 di Antonio Stradivari il cui fondo è addirittura in due pezzi di pioppo e per giunta con scarsa marezzatura. Quindi se il più bravo di tutti ha così agito perché ostinarsi a denigrare il pioppo nero italiano? Il pioppo nero originale è un albero a crescita rapida che predilige terreni umidi e ben drenati, cresce spontaneo in tutto il bacino del mediterraneo pur con tutta una serie di sottospecie e specie simili fra i quali il pioppo bianco, il pioppo grigio,  il pioppo tremulo. A queste specie originarie vanno affiancate tutta una serie infinita di pioppi ibridi di provenienza americana (questi sì per fare fiammiferi) che riempiono oggi a scopo industriale i bacini di sfogo dei grandi fiumi italiani. In Italia esistono due varietà di pioppo nero quella tradizionale e quella eretta (pioppo cipressino).

La mia esperienza si ferma al primo, mentre per il secondo posso solo dire che non ne ho mai utilizzato. Il legno del pioppo è abbastanza leggero, molto più leggero di quello dell’acero ed è  relativamente morbido e di buona lavorazione. Pur essendo abbastanza chiaro presenta spesso striature naturalmente più scure (fig.n°1).La caratteristica marezzatura si presenta abbastanza di frequente anche se varia la quantità delle increspature della fibra da quasi assenti fino a riempire tutto il tronco spesso anche troppo profonda tanto da infastidire l’elasticità del legno a lavorazione finita. Non sono in grado di dire nulla sul pioppo normalmente in vendita per liuteria poiché gli alberi da me abbattuti e lavorati presentano una grana, una marezzatura ed un peso specifico diversi. Il pioppo nero italiano raggiunge pezzature enormi tanto da permettere la realizzazione di fondi per contrabbasso in un unico pezzo, bisogna però porre attenzione al fatto che durante la stagionatura profondi spacchi possono aprirsi sulle tavole. Ritengo che fondi e fasce in pioppo possano dare agli strumenti un aspetto bellissimo ed un suono vivace e potente anche nei violini e nelle viole, ritengo però (come Stradivari) che un fondo in pioppo troppo marezzato pur d’effetto, alla lunga stanchi tanto da preferire una marezzatura più sobria o posizionata in maniera meno eclatante.
Il salice italiano (salix alba) a differenza dei legni precedenti rappresenta invece un caso a parte. A differenza degli altri non è caduto mai completamente in disuso ma il suo utilizzo si limita esclusivamente alle controfasce ed agli zocchetti come nella liuteria classica. In passato invece proprio quella liuteria gli tributava ben altri onori tanto che tutti i grandi hanno utilizzato il salice per i fondi di violoncelli e contrabbassi. Ancora oggi gli strumenti delle collezioni che vengono usati in concerto presentano spesso fasce e fondo di questa essenza legnosa. Purtroppo il salice italiano (salix alba fig.2e) tende ad ibridarsi con tutte le altre specie di salici presenti sul territorio quali il salix viminalis, il fragilis ed il rosso (che a differenza di quanti si crede è un arbusto), addirittura riesce ad ibridarsi anche col pioppo. Questa grande adattabilità porta a reperire sul territorio individui indefinibili anche agli occhi smaliziati degli studiosi di botanica. Per fare un minimo di chiarezza bisogna dire che quello che viene oggi definito salice rosso  preferito per controfasce e zocchetti per la bella colorazione rosso pastello, in realtà sarebbe il salice bianco puro (non ibridato) il cui durame a stagionatura ultimata tende a raggiungere la tonalità sopra descritta, esemplari che presentano il legno più chiaro o addirittura bianco sono ibridi. Normalmente il salice non presenta una marezzatura paragonabile ai legni prima descritti, questa forse è la vera causa della sua caduta in disuso per i fondi degli strumenti. Solo in rari casi una lieve marezzatura si presenta ma mai su tutto il tronco, e così durante la pulitura degli argini di fiumi e fossi spesso tronchi interi di salice vengono lasciati a marcire poiché non commercialmente utilizzabili nemmeno come legna da ardere sebbene l’albero raggiunga pezzature considerevoli ed in breve tempo ed il suo legno leggero e facilmente lavorabile sia ottimo per la liuteria. Esiste un salice descritto come specie a sé stante e definito salice barbuto che presenta alcune volte una marezzatura bellissima. Questa pianta definita barbuto per la presenza di lunghi fiori maschili (amenti)  che da lontano ricordano una barba in Toscana viene ricordata anche con la denominazione di “gattone” per la somiglianza degli amenti maschili a code di gatto. Non so altro riguardo a pezzatura e reperibilità. Ultima essenza legnosa la cui scomparsa è imputabile a causa di forza maggiore dove per forza maggiore si intende la sua scomparsa in pezzature commercialmente utilizzabili è il pero (Pyrus communis fig.n°2f). Questo albero che in passato è stato utilizzato anche nella costruzione di contrabbassi oggi non è più reperibile in Italia. Dico questo per il semplice motivo che eventuali panconi di detto materiale reperibili oggi sono di provenienza estera (solitamente Europa dell’est) . Il legno di questa pianta è fra i più belli esistenti sia per caratteristiche meccaniche che per aspetto e colore. E’ un legno duro e pesante ma con una ottima elasticità il suo colore tende col tempo a scurire anche se inizialmente si presenta rosato e la sua verniciatura è assai semplificata dalla bellezza intrinseca del legno stesso (fig.n°1). Si presenta spesso anche marezzato con una marezzatura caratteristica. La sua fortuna, finita con l’esaurirsi della disponibilità ha raggiunto vette eccelse soprattutto nella suola bresciana anche per la costruzione di contrabbassi. Oggi rimane un ricordo poiché nel nostro paese non esistono più piante utilizzabili di questo legno. Caratteristiche simili al pero sono tipiche del melo che essendo della stessa famiglia è molto spesso indistinguibile dal precedente. Concludo qui questa prima dissertazione sulle antiche essenze legnose ricordando che questi ultimi casi (il pero ed il melo ma anche il ciliegio) possono riservare delle sorprese nella lavorazione e nell’aspetto a causa di innesti eseguiti in passato su arbusti selvatici dai contadini (non dimentichiamo che le piante erano e sono tuttora produttive). Le essenze selvatiche utilizzate per gli innesti infatti non sono sempre utilizzabili in liuteria Queste poche righe non sono assolutamente tese a screditare la qualità dei legni oggi più usati né a pubblicizzarne altri, il nostro unico obbiettivo che è anche una speranza rimane quello di veder riutilizzare ove possibile queste antiche essenze legnose, senza pregiudizi né preconcetti poiché esse fanno parte della nostra tradizione più vera e per il semplice fatto che con la loro rivalorizzazione arricchiscono e valorizzano tutta la liuteria italiana.

Testo e foto di Fabio Chiari, rielaborazione grafica Andrea Corsani.

ANCIENT WOODS
Many reasons for their use
by Fabio Chiari

It’s enough known that, as years go by, with the accumulations of experiences, everybody decides that a process or a material, for their intrinsic features, are preferable to others, and this is part of the normal evolution of things. Sometimes, however, also in violin making, is not the reality of facts that change the choice from a wood to another or from a making technique to another, but the economic interest behind. It’s easy to demonstrate that the red Italian male spruce of Val di Fiemme is the best wood in sonority to make musical instruments, even if, in the past, were used the white Italian spruce of Apennine and many other kinds of European or Canadian red spruce. Much more difficult is, instead, to explain why many woods used in violin making during the classic period, are disappeared in the building of the case. All the great violin makers of the past have done instruments of the big strings family, using also pear wood, cherry wood, italic maple wood, black poplar and willow wood. But if we have examples in which there are instruments made with walnut or lemon wood of Lago di Garda, why, today, is expressly required the exclusive use of pseudoplatanus maple in the construction of violins, violas, and the use of poplar and willow wood for cellos and contrabass is hardly tolerated? In the research of the causes of this situation we must say, however, that the maple is available in large quantity, and has a beautiful flame, few knots, excellent sound result and thank to the rotation of cut of woods, is always available in every size on the market. We must say, however, that the intensive use of the same wood have caused the own standardization with a consequent flattening of the violin making production, that inevitably propose instruments, even if not equal, very similar to each other. Classic production, instead, had, as its strong point, the differentiation of the product, both in shapes and in materials, and this, today, leads to the discovery of some woods to give life again to the production of musical instruments, and bring again the violin making to a conception of artistic handicraft. We can start with the discover of a beautiful and absolutely Italian wood: italic maple (fig 2c).First of all it’s necessary to say that there are three or four species and subspecies of italic maple in Italy, very fertile between them, that produce an infinity variety of trees, whose differences are often found only with a careful microscopic recognition. However the two dominant species are Italic maple and opalus maple, commonly called loppo, oppio, chioppo or testuccio, and they’re spontaneous in all the country both in plain and in hill, while in mountain they’re replaced by maple (pseudoplatanus fig. n°2a) or riccio maple (platanoides fig. n°2b). The differences between them are principally in the indexing of the maple fruits wings and in the shapes of leaves, the differences in bark or foliage colours are not important, because the changes can be determined by geographic position or different exposure. Wood features are, instead, very similar. All the italic maple forms have got slightly heavier wood and finer grain than maple. The colour is darker (hazel brown) also before seasoning and the difference between duramen and alburnum is appreciable. The plant is usually strong and seldom infected and resist well at drastic or off season prunings. Its growth is very slow, and its capacity to tolerate the “capitozzatura” have permitted that it were used as vine guardian since origin. This system of cultivation have ordained the luck and the ill luck of this wood, in fact  on the one hand it was useful for mankind, on the other hand it was “capitozzata” too much, so the making of stagnation in the separation of branches have deleted their use in violin making, because the useful part of trunk is compromised by putrefactions and infiltrations. Another italic maple’s features are the shrub (in the early years) and the vitality, that lead the plant to emit buds and branches, also on the trunk. The wood became full of knots, and it is not often used, even if its size (after growing up) is smaller than pseudoplatanus or platanoides. In italic maple there’s often the flame, that, in some specimens, is partially caused by pressure of lateral branches, in others follows the course of trunk, only in few cases it is beautiful everywhere. We usually think that the italic maple’s flame is easily recognizable from maple’s one, because it’s more narrow and not regular, but this is true only in part, ‘cause often, for its features, the italic maple is used in a different way (fig.n°1). The smaller sizes and the knots lead anyone to choose slab cut instead of radial cut and the back in two pieces, but in particular conditions and in big plants, the flame is often similar to nobler kinds. All those aspects that can appear as limitations, lead in reality to the issue that every instrument made with italic maple is unique, both in look and in resonant features, so the musician must have particular personality and sensitiveness, in conclusion a differentiation instead of an adaptation to standard forms. Maple wood is versatile and for its preservation after cutting and reducing in boards with particular thickness, it’s necessary to isolate good pieces, deleting all knots with a saw, because near them can happen breakages during seasoning. It’s necessary to wax to avoid particular breakages called “chicken’s claws”. Even if the preparation is very laborious, if it is done well, permit to use the wood also two years later after cutting without problems during working. Now we describe black poplar (populus nigra fig.2d). I want to remind, to anyone who thinks that poplar is good only for matches, the beautiful Mahler viola made by Antonio Stradivari in 1672. Its back in two pieces is made in poplar with few flame. So, if the greatest violin maker has done this, why everyone persist to denigrate italian black poplar? Original black poplar is a tree that prefer humid and drained soil and grows up rapidly and spontaneous in all the Mediterranean basin, with many similar species and subspecies (white poplar, grey poplar, tremulo poplar). To those original species we must add lots of hybrid poplars that came from America (they’re good for matches!) and fill up basins of italian rivers for industrial aims. There are two kind of black poplar in Italy, the traditional and the erect one (called cipressino poplar). My experience stop to the first kind, while I’ve never used the second. Poplar wood is lighter than maple one, it is soft and easy to work. Even if its colour is clear, it present often darker streakings (fig.n°1). The flames is frequent but the quantity of  fibre’s curling  is variable:  sometimes it’s absent, sometimes it covers all the trunk so deeply to worry wood’s elasticity at the end of working. I cannot say anything about normally sold poplar for violin making, because the trees I’ve pulled down and worked have a different grain, flame and specific weight. Italian black poplar reaches big sizes and this permit to realize backs for contrabasses in only one piece, but we must pay attention because during seasoning can be open profound splits on boards. I think that backs and ribs made by poplar can give a beautiful look, vivacious and powerful sound to instruments, also in violins and violas; but I think (as Stradivari), that a back made with too flamed poplar, even if it gives good impression, can also bore, so it is better a moderate flame or positioned in less evident way. Italian willow (salix alba) unlike other mentioned woods is never fall into disuse, but its use is only limited for linings and blocks like in classic violin making. In the past, instead, that violin making gave much importance to this wood and all the Great violin maker have used willow for contrabass and cello’s backs. Also today the instruments belonging to famous collections have got ribs and backs made with this wood. Unfortunately Italian willow (salix alba fig.n°2e) tend to hybridize itself with all the other willow’s species like salix viminalis, fragilis, red (few people don’t know it is a shrub), but also with poplar.  This adaptability lead to find indefinable specimen on territory that also surprise botany studious. To explain we must say that the wood today defined red willow used for linings and blocks for its beautiful pastel red colour is, in reality, white pure willow (not hybrid), which duramen tend to have, at the end of seasoning, the tonality described before. The specimens that have clearer or white wood are hybrid. Usually the willow doesn’t have a flamed comparable to other wood I’ve speak about before and maybe this is the reason of its falling into disuse for the making of instrument’s backs. Only rarely there are a flame, but never in all the trunk and so, during  embankment cleaning of rivers, entire willow’s trunks are often left to go bad because not commercially used not even as firewood, even if the tree reach big sizes quickly and its light and easily workable wood is good for violin making. There is a particular kind of willow called “barbuto willow”, that has got often a beautiful flame. This plant defined barbuto for the presence of long male flowers (amenti) that seems to be a beard, is remind in Tuscany also with the name of “gattone”, because its amenti seem to be a cat tail. I don’t know anything more about sizes and finding. The last wood whose disappearance is caused by the impossibility to find commercially utilizable sizes is the pear (Pyrus communis fig.n°2f). This tree, used in the past also to make contrabass, is not findable anymore in Italy today. I say this because eventual pieces of that wood, that we can find today came from abroad (usually East Europe) the wood of this tree is one of the most beautiful both for mechanic features, and for the look and the colour. This wood is tough and heavy, but with good elasticity, its colour tend to became dark with years, but at the beginning it is rosy and its painting is simplified by the intrinsic beauty (fig.n°1). it is often flamed with a typical flame. Its fortune, ended with the availability, have reached important top, especially in the Brescia’s school, for the making of contrabasses. Today it remains a memory, because there’s not usable plants of this wood anymore in our country. Apple wood has got similar features, but belonging to the same family of pear, is often not recognizable well. I finish here my dissertation about ancient woods remembering that those last cases (pear wood, apple wood, but also cherry wood), can reserve surprises in working and aspect for the grafts made in the past by farmers on wild shrubs  (we mustn’t forget that the plants were and are nowadays productive). Wild woods used for grafts, are not always used in violin making. Those few words are not to discredit the quality of woods used today or to advertise other ones, our aim and hope is to see use again (everywhere it is possible) those ancient woods, without prejudices, because they’re part of our real tradition, and with their exploitation they enrich all violin making in Italy.

Text and photos: Fabio Chiari

Graphic elaboration: Andrea Corsani

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